Il concetto di vissuto è un concetto fondamentale per la psicoanalisi poiché le difese riguardano situazioni presenti solo nella misura in cui queste rinviano a esperienze passate non integrate. Cercherò ora di riassumere il mio punto di vista sui vissuti.
a) Nell’infanzia le emozioni valutate come intollerabili, sono state evitate con l’attivazione di specifiche modalità difensive, cioè quelle che a parità di efficacia erano meno limitanti o controproducenti; tutto questo riguarda il passato e non determina nulla nel presente.
b) Nel presente si ha però la possibilità di “recuperare” situazioni passate in circostanze simili e si ha la possibilità di sentire il dolore associato ad esse. Si parla di vissuti quando nel presente si realizza un “ricordo sentito” di situazioni antiche non integrate.
c) Difese, sintomi, comportamenti irrazionali e distruttivi non sono causati da eventi del passato ma sono intenzionalmente attivati nel presente per evitare di entrare in contatto con vissuti dolorosi non integrati e quindi temuti. Quale che sia la teorizzazione dello sviluppo infantile adottata, un analista deve prima o poi fare i conti con dei vissuti estremamente penosi che il cliente non ha integrato e che attivamente continua ad evitare. Al di là delle spiegazioni o delle speculazioni sulla vita infantile, di fatto affiorano in analisi dei vissuti dolorosi. Il problema essenziale dell’analista è quello di aiutare i clienti ad elaborare i loro vissuti rinunciando alle operazioni difensive divenute superflue.
d) Le valutazioni (cognitive) di un’emozione (ad es. “non posso tollerare il dolore che provo quando mia madre non mi risponde”) risultano “incollate” all’emozione come un’etichetta ad un pacco; se un adulto quindi “recupera” una “vecchia emozione” nel senso che ricostruisce attualmente il vissuto di una vecchia situazione, recupera anche la valutazione cognitiva di allora; come maneggeremmo con cautela un pacco con l’etichetta “fragile”, anche se è già stato svuotato e riempito con degli abiti, così, attivando un vissuto, riattiviamo anche una vecchia valutazione cognitiva; l’intellettuale che teme di parlare in pubblico è presumibilmente alle prese con un vissuto di rifiuto più che con la possibilità di attuali manifestazioni di dissenso da parte dei colleghi, e valuta l’insostenibilità del rifiuto col cuore di un bambino, non con quello di un adulto.
e) Le difese intenzionalmente agite nel presente sono fondamentalmente quelle agite nel passato, perché le difese sono anche delle competenze e su questo terreno gli adulti sanno ciò che hanno imparato da piccoli. Chi “sa fare ad arrabbiarsi per scollegarsi da un dolore, in genere non riesce a svenire o a confondersi per raggiungere lo stesso scopo.
f) Le difese, non sono né necessarie, né automatiche, perché non sono causate da nulla. Sono agite nel presente perché nel presente la persona teme un vissuto classificato come intollerabile finché non verifica che dopo dieci, venti o quarant’anni esso è diventato tollerabile anche se penoso.
g) Le difese quindi possono essere abbandonate quando si sono realizzate tre condizioni (delle quali due sono cognitive ed una è esperienziale): 1) quando la persona ha capito che agisce delle difese, ovvero quando non crede più che le “capitino” certe cose o che “non riesca” a fare certe cose; 2) quando si confronta con un vissuto senza difendersi, verificando di sentire tristezza, impotenza, dolore, smarrimento, disperazione, ma verificando anche di non essere in pericolo come temeva; 3) quando, dopo aver ripetuto più volte l’esperienza, “cambia l’etichetta”, cioè annulla la valutazione precedente (“intollerabile”) e formula la nuova valutazione (“esperienza penosa ma tollerabile”) che tiene conto dell’esperienza fatta con le nuove risorse di persona adulta.
h) Il lavoro analitico consente di rendere superflue determinate azioni difensive. Tuttavia, circostanze del tutto nuove possono risultare molto dolorose oppure possono riattivare vissuti ancor più profondi. La persona rischia quindi di agire nuovamente in termini difensivi, a meno che non abbia accettato la dimensione del dolore come una dimensione costitutiva di tutta la sua esistenza. Il passaggio dal piano “clinico” a quello “esistenziale” è quello che garantisce il mantenimento incondizionato di un atteggiamento adulto, razionale ed emotivamente limpido e profondo in qualsiasi circostanza.