Credo che potremmo inizialmente caratterizzare le emozioni come “reazioni” della persona, distinguendole così dalle intenzioni (che sono “pro-azioni” o “orient-azioni”). Sottolineo che stiamo parlando ancora in prima approssimazione.
La persona non recepisce stimoli in modo passivo, ma elabora qualsiasi informazione sulla base dell’idea del mondo e di sé che si è fino a quel momento costruita. L’idea che le emozioni vengano “compiute” più che “possedute” (Schafer, 1976, p.357) oltre che ragionevole può anche risultare liberatoria, e almeno questo sembra essere l’idea di Bannister: “Io non mi considero più una vittima delle mie “emozioni”.
Esse possono tormentarmi, ma le accetto come parte essenziale di me, implicate in tutto ciò che ho pensato” (1977, p.35). Lo stesso squillo del telefono fa sentire il signor X incuriosito ed il signor Y disturbato.
Chiaramente la ricezione degli stimoli è più passiva nella misura in cui gli stimoli sono poco importanti ed è più attiva e strutturante nella misura in cui gli stimoli sono importanti. Tuttavia la persona distingue anche l’importanza o non importanza degli stimoli in base all’idea del mondo e di sé che si è fatta.
Possiamo quindi considerare l’emozione come l’insieme delle azioni (o microazioni) che la persona fa (nella propria testa, nel proprio corpo e col proprio corpo) recependo, elaborando, rispondendo ad una situazione (esterna o interna) e registrando anche le proprie reazioni.
L’intenzione va invece considerata come ciò che la persona fa di sua iniziativa (nella propria testa, nel proprio corpo e col proprio corpo) nei confronti di un dato segmento di realtà. In altre parole, possiamo considerare come emotiva l’azione con cui una persona “accoglie” una certa situazione e possiamo considerare come intenzionale l’azione con cui una persona “aggredisce” una certa situazione.
Emozione e intenzione quindi non sono due “dati” ma due modi di considerare la persona in azione. In fondo siamo noi ad affermare che X reagisce (emotivamente) con entusiasmo ad un’offerta di lavoro o che esprime la sua intenzione di impegnarsi nel lavoro proprio dimostrandosi interessato ad una particolare proposta.
Le due espressioni non sono in conflitto perché non descrivono un oggetto (che quindi deve essere un’emozione oppure un’intenzione).
La prima coglie un segmento di realtà ristretto in cui uno stimolo viene accolto da una persona in un certo istante; la seconda coglie un segmento di realtà più ampio in cui una persona si definisce e si orienta in una certa direzione per poi rispondere in un certo modo ad un particolare stimolo.
Entrambe le formulazioni sono vere, anche se ognuna può essere più o meno utile a seconda di ciò che vogliamo capire.
Questa distinzione fra azioni emotive ed azioni intenzionali può sembrare poco chiara, ma voglio ricordare che se davvero evitiamo di trattare le emozioni e le intenzioni come “entità” o “oggetti”, non ha senso voler precisare “dove finisce” un’emozione e “dove inizia” un’intenzione, così come si stabilisce che a metà della tal pagina finisce un paragrafo e ne inizia un altro.
Fra le mille microazioni in cui si sviluppa l’azione di rispondere ad una telefonata, possiamo (per dare un nostro ordine ai fatti) evidenziare una sottoclasse che riconduciamo al concetto di emozione (sorpresa, curiosità, diffidenza, ecc. relativa all’ascolto di qualche squillo) e possiamo evidenziare un’altra sottoclasse che riconduciamo al concetto di intenzione (di sapere, di non voler sapere, di impedire che scatti la segreteria, ecc.).
Le emozioni sono spesso considerate uno “stato” della persona; però quello “stato”, di fatto è un processo dinamico, è una risposta diffusa e personale ad una certa situazione, è una specifica forma di adattamento.
Le emozioni, come le intenzioni non sono “stati” in senso stretto, ma sono un modo di descrivere ciò che la persona fa fra sé e sé (e quel che sente di ciò che fa) e ciò che la persona fa con le persone e con le cose.
Altre volte le emozioni sono considerate pure esperienze soggettive, ma tale scelta è pericolosa perché operare una riduzione dell’emotività al piano soggettivo conduce facilmente a discussioni inconcludenti sulle “relazioni” (causali) fra fattori fisici ed emozioni o fra emozioni e comportamenti.
Prima di ricevere l’obiezione che in questo modo tutto è troppo vago, voglio affermare che tutto ciò è davvero vago, perché la persona non fa mai nulla di semplice.
Quando vogliamo capire meglio un’emozione dobbiamo specificare meglio ciò che la persona fa, ma non dobbiamo in alcun modo circoscrivere il concetto di emozione, per non sprofondare nelle sabbie mobili delle definizioni circolari o nelle sabbie mobilissime del problema (filosofico) mente-corpo.
Il rigetto di una lettura causale dell’azione comporta una messa in discussione del concetto di motivazione (e di “pulsione”) tanto impiegato in psicoanalisi ed in psicoterapia.
Le teorie motivazionali, pur formulate in termini diversissimi, concordano nell’attribuire a qualche tipo di motivazione la capacità di “spingere” un individuo (o organismo o mente) che altrimenti starebbe fermo.
Per Kelly, le spiegazioni motivazionali sono da considerare alternative a quelle scientifiche, perché vengono introdotte quando il ricercatore non riesce a dare una spiegazione razionale del comportamento; certe ipotetiche determinanti interne sembrano così spiegare comportamenti non ancora compresi razionalmente e ci rendono “vittime delle dinamiche psichiche” (1977, p.1 e p.16).
Questo rigetto delle teorie della motivazione non è dogmatico né vuole offendere il senso comune. Spesso si usa il concetto di motivazione per sottolineare la presenza di uno stimolo rilevante per il comportamento. Nulla da obiettare a ciò.
Gli stimoli “esistono” (frasi dette, stati fisiologici, ecc.). Tuttavia ogni stimolo viene elaborato dalla persona così come essa si è definita fino a quel momento. Non è ragionevole sostenere che X ha picchiato Y perché questi lo aveva offeso o perché egli era ubriaco.
I due stimoli (l’offesa ed il tasso alcolico nell’organismo) sono stimoli indiscutibilmente rilevanti (a meno che X picchi sempre e comunque tutti). Però non causano niente.
Non tutte le persone offese reagiscono con violenza, ma solo quelle persone che in quella circostanza intendono attuare quella azione, dopo aver elaborato in modo particolare vari stimoli, tra cui la frase offensiva.
Se si trascura che le persone agiscono si finisce sempre per ipotizzare che qualcosa le faccia agire, magari una pulsione, un’offesa o un bicchierino di troppo.
Quando si trattano le emozioni come effetti di qualche “causa” interna si trascura inevitabilmente anche la componente cognitiva delle emozioni, la quale costituisce un aspetto fondamentale sia nella elaborazione della situazione data che nella definizione della risposta emozionale.
Se non sapessi che gli orsi possono essere pericolosi, saltellerei di gioia vedendo uno di quei bei batuffoloni di pelo in un bosco e gli correrei incontro. Senza una storia di esperienze vissute e valutazioni di tali esperienze, nulla di quel che “sentiamo” sarebbe comprensibile.
La dovuta considerazione degli aspetti cognitivi delle emozioni ci libera anche dalla perversa dicotomia fra ragione ed emozione. Quando si dice che una persona è “emotiva” e che un’altra è “razionale” si dice una stupidaggine poiché tutti siamo emotivi.
Se si vuol parlare di persone più o meno orientate a manifestare emozioni, si resta peraltro molto in superficie, dato che non si distingue fra le persone “emotive” che manifestano un’emotività genuina ed altre che manifestano una emotività tanto rumorosa quanto fasulla.
Lo stesso dicasi per la definizione di persone “razionali”. O con essa si intende semplicemente che una persona è normalmente intelligente, oppure si intende che è una persona molto controllata, gelida, impassibile.
In questo caso, però, la “ragione” non c’entra nulla, poiché tali comportamenti sono altamente emozionali anche se in senso difensivo, e sono anche irrazionali. Per questo risulta più che condivisibile l’osservazione di Bannister, secondo cui la tradizionale contrapposizione in Psicologia di ragione ed emozioni “ha impedito un’elaborazione adeguata del concetto di persona (…)
Se avessimo considerato la persona nella sua interezza anziché costituita dalla ragione e dall’emozione, avremmo potuto vedere l’uomo come un agente attivo piuttosto che come il passivo oggetto delle influenze ambientali o di incontrollabili forze interne” (1977, pp.24-25).
Dunque la tua sfera emotiva è strettamente connessa a radicate convinzioni inconsce e a manifestazioni fisiche via via differenti in base a come decodifichiamo le situazioni e gli incontri che viviamo.
Se considero “se mi lascia il mio compagno sono incapace di gestire la mia vita da sola” unito a “mi sento abbandonata” (ferita primordiale da cui tentiamo di difenderci in ogni modo) allora comprendiamo perché se ciò accade o semplicemente se temiamo costantemente questo, andiamo a creare senza volerlo in maniera inconsapevole reazioni emotive di angoscia, con l’intento di compiacere il proprio partner per evitare che ci lasci, seppure non ci piace davvero ciò che stiamo facendo.
Giusto per restare su questioni che ci toccano da vicino.
Senti bisogno di iniziare a esplorare la tua sfera emotiva?
Vuoi esplorare le convinzioni che determinano inconsciamente certe reazioni emotive e fisiche fastidiose e talvolta invalidanti (es. tensioni muscolari, blocco allo stomaco, nodo alla gola, peso sul petto, annebbiamento della vista, capogiri, paralisi e formicolii ad alcune parti del corpo, diarrea, sudorazione abbondante…)?
Desideri trovare nuovi copioni mentali da “installare” sul piano inconscio esplorandole prima sul piano consapevole?
Vuoi iniziare quindi a gestire in maniera più sana e produttiva le reazioni emotive?
Vuoi provare a agire sul corpo e a sciogliere le tensioni muscolari e a guidare in maniera consapevole il respiro per calmare onde emotive di paura e rabbia?
Come Psicologa in attività a Bologna e provincia posso aiutarti in questo processo di conoscenza, esplorazione di te stesso, mostrandoti come hai già in te i mezzi per trovare nuovi equilibri verso il benessere psicofisico ed emozionale.
L’essenziale è familiarizzare con questi strumenti preziosi e iniziare a farli propri giorno dopo giorno, osservando, in maniera curiosa, con senso critico e meno giudicante.