L’ingrediente terapeutico essenziale e imprescindibile è l’ascolto profondo che il paziente riesce a palpare. Posso toccare il vissuto dell’altro, accedere al suo flusso vitale ed esperienziale. Cosa è in fondo l’empatia? Capacità di sentire al proprio interno l’interiorità di ciò che sta fuori di sé, che è altro da sé.La tendenza della mente è quella dell’astrazione, cioè di tirar fuori dal vissuto delle idee, di uscire dall’esperienza del corpo, alla ricerca di categorie assolute, di diagnosi statiche e ingabbianti che diano una sicurezza illusoria di controllo del disagio e di guarigione magica. Lo sforzo del terapeuta è di restare nell’ascolto del sintomo, della sofferenza.
La Biosistemica non interpreta il corpo ma cerca di ampliare a livello espressivo e pulsionale il gesto, di trasformarlo, passa “dalla scoperta del gesto come parola non detta alla parola come gesto non fatto”, dando corpo, incarnazione alle parole. Nel corso delle sedute il paziente pronuncia parole o frasi chiave che presentano una particolare carica emotiva e possono essere rivelatrici di uno scenario di vita molto significativo. Far emergere, ripetere, rimandare la parola chiave consente di entrare e far accedere il paziente alla sua vulnerabilità, alla piccola fessura che permette di comunicare in modo più autentico, di sintonizzarsi maggiormente. “L’altro mi consente di far risuonare l’emozione, mi permette di collegare note sparse, stonate, rumorose, dissonanti, di sentire una musica, una melodia seppure greve e penosa, di dar un senso”.
L’essere in empatia è una modalità di entrare in contatto con l’altro, di immedesimarsi con lui ogni volta. Rogers fonda la sua terapia fenomenologica sull’empatia, sull’ascolto caldo. Kohut ci mostra come l’empatia sia un tentativo di sperimentare la vita interiore dell’altro conservando la posizione di osservatore neutrale. Per lui l’empatia è uno strumento psicoanalitico per la comprensione emotiva e per riconnettere la parti sconnesse della personalità del paziente. Per Freud l’empatia è un ostacolo alla terapia in quanto il paziente ripropone nel transfert gli schemi relazionali maladattivi, gli stessi che gli provengono dai conflitti edipici, nel triangolo padre-madre-figlio. Il disagio deriva infatti dalla dinamica di conflitto tra pulsioni molto diverse o tra pulsioni e meccanismi di inibizione e difesa nell’ambito appunto delle relazioni primarie.
L’empatia che si sviluppa in terapia riprende la buona empatia materna, o nel caso fosse mancata o fosse stata parziale o ambivalente il terapeuta tenta di rifondarla dalle fondamenta per ridare fiducia nelle relazioni.
Che cosa davvero necessita l’empatia allora?
Il rispecchiamento, l’apprezzamento, l’incoraggiamento soprattutto attraverso il corpo, i gesti, lo sguardo e infine la fiducia che consente di costruire e percepire dei confini stabili. Se sono mancati allora siamo stanchi, deboli, fatichiamo a vivere, sentiamo il vuoto o la separazione, la rabbia inesauribile, l’angoscia.
In Biosistemica l’empatia per essere più completa comprende l’empatia corporea, per contattare l’altro che nella società odierna vive nell’isolamento e nella solitudine in mezzo a un mondo pieno di contatti virtuali e superficiali.
L’empatia corporea è antecedente a quella cognitivo-emozionale. Il terapeuta biosistemico pone l’accento sull’armonia dello scambio corporeo basato su un accordo tonico del contatto e su un ritmo di voce adatto al contesto e alle emozioni provate dal paziente. Fare sperimentare nel contatto delle mani del paziente con quelle del terapeuta gli estremi del contatto è essenziale per imparare a conoscersi e a poi a modulare la distanza rispetto all’altro: da una parte l’invadenza e la pesantezza derivate da una educazione autoritaria e frustrante, dall’altra parte la debolezza, l’assenza di energia legata a una educazione di vergogna e vittimismo.