Come possiamo amare anche chi non è più con noi, o chi non ci è utile, o anche chi ci ha ferito, così possiamo essere felici anche quando non riceviamo gratificazioni particolari o addirittura quando siamo tristi. Ovviamente occorre chiarire a cosa ci riferiamo quando parliamo di felicità, se parliamo di qualcosa che non ha a che fare con la gioia.
Sono una sorta di “condizione” di base. Uno di questi può essere descritto in termini soggettivi come una sensazione/convinzione che comunque vadano le cose la nostra esistenza merita di essere vissuta. Più i vissuti personali sono integrati, meno ci si sente in balia delle possibilità di appagamento; in questi casi si cerca il piacere, ma con la serenità di un adulto e non con l’urgenza di un bambino. In altre parole, più i vissuti sono integrati, più si sente di tollerare qualsiasi eventualità; più i vissuti sono integrati più si ha un senso della propria dignità, importanza e completezza che porta ad affrontare l’esistenza anche nelle situazioni più difficili.
Tale stato d’animo di base può essere opportunamente indicato col termine “felicità”. Quando si è presi dalla “fame” (soprattutto dalla ricerca di ciò che è mancato nell’infanzia, rispetto a cui si pretende una compensazione) si può distruggere, tradire, rinnegare, ferire chiunque, compresi noi stessi; infatti ci si sente “incompleti”. Con l’integrazione dei nostri vissuti e l’osservazione della nostra personalità sentiamo invece compassione per noi, amore per la nostra particolare storia, diamo un senso a ciò che abbiamo fatto di giusto e di sbagliato e di ciò che abbiamo ricevuto. Felicità indica anche la percezione profonda di essere collocati in un tempo e uno spazio adeguati, consapevoli di essere in connessione sinergica con tutto ciò che ci circonda, percependo dunque una unità all’interno di noi stessi e con il macrocosmo. Il Ben-essere è la conquista di “un centro di gravità permanente” che consente di vivere a pieno, in modo più autentico oltre le fluttuazioni dell’emotivo e del mentale. La felicità si realizza nella misura in cui diamo spazio all’ emozione dell’amore. Quando si ama una persona (compresa la nostra persona), o si ama quel che si fa, o quel che si capisce, o la realtà nel suo complesso, si è felici.
A volte si sente dire che la saggezza è la chiave della vera felicità. Sicuramente non è la chiave per una gioia intensa e stabile, che comunque vacillerebbe al primo banalissimo mal di denti. Credo che quando si parla di quella “vera felicità” si parli di questo “sentirsi a posto” o del sentire che comunque “le cose sono a posto”, in ogni caso. E’ inutile “sforzarsi di essere se stessi” o inseguire “l’autorealizzazione”. Meglio cercare in tutt’altra direzione: cercare ed affrontare il dolore. Dalla certezza di poter tollerare il dolore (quello inevitabile) ricaviamo sia la capacità di procurarci la gioia, sia la possibilità di essere fondamentalmente felici. E’ la ricerca di tutta una vita. Il lavoro psicoterapeutico sulle emozioni e sui vissuti è di aiuto a questa ricerca esistenziale. I terapeuti possono aiutare ad armonizzare la personalità, condizioni basilare per la felicità. Fatto questo, lasciano i clienti liberi di cercare la felicità in una vita normalissima vissuta in tutta la sua intensità o in discipline formali rivolte all’accrescimento della loro vita interiore, o in qualsiasi esperienza essi ritengano valida.