In questo articolo ci occupiamo di approfondire i seguenti punti:
il cosiddetto “etichettamento” (o valutazione di una esperienza emotiva);
la concezione non “cosale” dei vissuti;
l’idea secondo cui le difese non riguardano né il presente né il passato, ma la rivisitazione cognitivamente inadeguata (“datata”) del passato nel presente.
L’emozione è un’azione che include fin dall’inizio delle valutazioni cognitive; parlando di “etichettamento”, però, mi riferisco ad una valutazione successiva all’esperienza emotiva. Tale etichettamento va inteso come un processo cognitivo che “classifica” un’emozione, che agisce al di sotto della consapevolezza e che risulta “definitivo”. Quando consapevolmente valutiamo un’esperienza possiamo anche stabilire, come per i prodotti alimentari, una scadenza; ad es. “sono stanco di studiare” non implica che non aprirò mai più un libro, ma che sospenderò la lettura per mezz’ora o per il resto della giornata. Le operazioni di etichettamento, che nell’infanzia classificano determinate esperienze emotive come ingestibili, invece, sono inconsce e definitive. Se non si “riapre il caso”, come in un percorso analitico, la classificazione resta valida finché la persona vive. Gian Vittorio Caprara formula la seguente ipotesi: “Non solo mi pare plausibile riconoscere alle precoci esperienze emotive una qualche valenza cognitiva in termini di intelligenza sensomotoria, ma mi pare anche plausibile riconoscere alle prime esperienze che si accompagnano alla soddisfazione e alla frustrazione … una funzione di “appoggio” per il costituirsi delle strutture cognitive che successivamente verranno a modulare le varie manifestazioni emotive” (1988, p.281). Molti clienti hanno il terrore di piangere ed evitano costantemente di riattivare vissuti dolorosi per i quali si scioglierebbero in lacrime. Fanno esperienze coscienti che potrebbero invalidare la loro convinzione di non poter gestire certe situazioni; tuttavia, la loro convinzione è inconsapevole e quindi non soggetta a rettifiche.
Qualsiasi concezione dei vissuti come puro “ricordo emotivamente significativo” è inutilizzabile nel lavoro analitico perché molti ricordi del genere sono stati integrati e possono facilmente venir recuperati. E’ la valutazione cognitiva dei vissuti come intollerabili a rendere certi vissuti attualmente delle occasioni per un’azione difensiva: “si deve parlare del vissuto come dell’azione che una persona compie nel rivedere altre azioni da lei stessa compiute in vari modi; fra queste azioni passate in rassegna vi sono le spiegazioni sviluppate in precedenza di ciò che si è fatto e degli eventi che si sono affrontati. Il vissuto è sempre mediato dall’interpretazione personale” (Schafer, 1983,pp.94-95).
Le difese non vengono agite in continuazione. La persona che evita un vissuto di non considerazione assumendo un atteggiamento di arroganza, probabilmente è normalmente molto gentile e solo quando riceve una critica reagisce in modo aggressivo. Ovvero, appena registra un’esperienza attuale come esperienza di non considerazione, fa una sorta di veloce (e inconscio) controllo sull’argomento in questione e trova un rinvio alla classificazione fatta venti o cinquant’anni prima. Possiamo quindi precisare che un “vissuto” non va inteso come un semplice ricordo, ma come un ricordo emotivamente significativo e caratterizzato da una valutazione cognitiva che classifica come intollerabile l’emozione in questione e che produce un’operazione difensiva.
Riguardo alla concezione non “cosale” dei vissuti, Schafer respinge l’idea che “le emozioni possano essere accumulate e conservate. Non possono esserci “vecchi sentimenti”. Le emozioni, intese come azioni e modalità di azioni possono essere manifestate solo in un contesto attuale (…) qualcuno potrebbe credere di descrivere un semplice stato di cose dicendo “Mi sono ricollegato con un vecchio sentimento”, o “Quel vecchio sentimento è riaffiorato” o qualcosa del genere. Al contrario, nel linguaggio dell’azione dovremmo dire: “Sto pensando ad una vecchia situazione agendo più o meno negli stessi modi emotivi che ricordo di aver attivato in passato” (…) è la situazione non l’emozione ad essere vecchia” (1976, pp.313-314).
Questa osservazione è importante perché qualsiasi “affioramento di vissuti” non va inteso come un evento che accade “nella” persona e di cui la persona è vittima. Noi siamo “perseguitati” dai vissuti non integrati semplicemente perché attualmente manteniamo l’intenzione di non affrontarli e quindi li “teniamo presenti” per accertarci che nulla ci metta in difficoltà. Ciò va sottolineato poiché a volte, nella comunicazione con i clienti, non è agevole rispettare i canoni di una formulazione teoricamente corretta. Come a volte si dice “quando ti è venuto il mal di testa?” pur sapendo che il mal di testa non è una cosa che va e viene come le mosche, così può essere utile in una seduta esprimersi in questi termini: “se ti sei arrabbiato, c’era un vissuto che stava affiorando; torna mentalmente in quella situazione e descrivi come ti sei sentito un attimo prima di urlare con il tuo collega”. Lo stesso Schafer ammette che a volte lui stesso trasgredisce le regole del suo Action Language per semplificare una formulazione (1983, p.148).