Quando ci muoviamo intenzionalmente in qualche direzione, normalmente cerchiamo di rendere possibile una esperienza piacevole o di prevenire o far cessare una esperienza spiacevole. . I legami basati sul desiderio sono quindi, ovviamente, dei legami condizionali. Se vogliamo essere desiderati dagli altri dobbiamo fare qualcosa di gradito e se vogliamo guadagnare dei soldi, dobbiamo fare un lavoro utile. In questa chiave di lettura, la “stima” (nel senso più ampio del termine che comprende sia l’essere apprezzati in famiglia che l’essere vincenti in una gara) dipende da certe condizioni, come l’avere certe caratteristiche o il fare certe cose. Da ciò segue che in genere gli innamorati “si stimano” (cioè si stimano per l’aspetto fisico, per i modi di fare, per gli interessi, la personalità, la sensibilità) e solo col tempo, e non sempre, riescono ad “amarsi”. Parlando brutalmente, ma con chiarezza, quando si è innamorati si sente di aver fatto un buon affare; nei casi migliori c’è anche dell’altro, ma dovremo capire in che senso possiamo parlarne.
Se il concetto di amore non deve essere un quasi-sinonimo del concetto di stima, più poetico o più vago, ma comunque superfluo, e se deve avere qualche funzione nella teoria, deve implicare l’incondizionatezza, il disinteresse, la gratuità. Vorrei suggerire una prima approssimativa definizione del concetto di amore: amiamo quando a) sentiamo ammirazione per qualcosa o qualcuno prescindendo da qualsiasi considerazione su eventuali gratificazioni derivanti dal contatto o dalla vicinanza o dall’utilizzazione di quella cosa o persona, e quando b) sentiamo un interesse per il bene di tale “oggetto” d’amore. Più brevemente, l’amore potrebbe essere considerato la congiunzione di ammirazione disinteressata e benevolenza. Questo implica che se tutti sono amabili, l’amore è reso possibile dal fatto che chi ama sia disposto a vedere “chi” ha di fronte e non solo a capire che uso ne può fare. In altre parole, se l’amore non dipende da alcun “merito” di chi è amato, dipende dalla “disponibilità” di chi ama a considerare ed apprezzare le qualità (anche non utilizzabili) della persona amata.
Di fatto sentiamo cose diverse ed agiamo in modo diverso quando apprezziamo qualcosa o qualcuno da cui ci aspettiamo delle gratificazioni (ulteriori) e quando invece siamo semplicemente contenti che qualcosa o qualcuno esista. Anche per la benevolenza si porrebbe il problema della riducibilità. Tuttavia quando atteggiamenti benevolenti o azioni benevole disinteressate verso qualcosa o qualcuno sono attuate senza ambivalenze, ostilità inconsce, preoccupazioni narcisistiche, possiamo distinguerle nettamente dalle azioni orientate alla gratificazione, prescindendo da qualsiasi ipotesi sulle loro condizioni ultime (fisiche o metafisiche) di possibilità.
Questa definizione coglie l’idea di amore come un “movimento verso” o di un sentimento “in uscita”, che cioè si differenzia dall’idea (connessa al desiderio) di possesso o di fruizione.
Limitando il discorso all’ambito più facile da affrontare, cioè quello dell’amore per le persone, direi che amiamo le persone quando riusciamo a considerarle come soggetti (anziché come nostri “oggetti”), ovvero come entità che elaborano una storia da un particolarissimo punto di vista, costruendo gradualmente un’unica esistenza sospesa fra l’assoluta fragilità della nascita e l’inevitabilità della morte. Quando riusciamo a vedere l’altro come una persona possiamo continuare a dissentire da ciò che fa o anche a non aver voglia di starle vicino, però riusciamo a considerarla in qualche unico modo apprezzabile e preziosa. Se non fossimo mai presi dallo sforzo di ottenere cose buone e di evitare cose dolorose, riusciremmo ad amare stabilmente tutti. In fondo, cos’altro sono la saggezza o la santità, se non questo? Non è forse quasi ovvio che troviamo difficile amare quando siamo “presi” da qualche bisogno o da qualche paura? A questo punto possiamo formulare alcune affermazioni, che ora dovrebbero risultare abbastanza chiare:
è opportuno definire l’amore come incondizionato; il cosiddetto amore condizionale è un controsenso;
è opportuno considerare l’amore come dipendente esclusivamente dalla disponibilità o capacità di chi ama e non da qualche operazione compiuta da chi è amato; quindi, l’amore si può ricevere ma non conquistare.
se desideriamo essere amati, la cosa più intelligente che possiamo fare è una sola: essere sinceri, in modo da non confondere le idee alla persona da cui vorremmo essere amati e sperare nella sua disponibilità e benevolenza; infatti quando “recitiamo” per farci amare, finiamo o per risultare così antipatici da non essere nemmeno stimati, o per ottenere amore (o stima) per la persona che non siamo;
qualsiasi forma di stima invece dipende da ciò che si fa e si mostra;
il desiderio di stima ed il desiderio di amore sono due cose assolutamente diverse. Anche se possono coesistere, non vanno confuse perché non c’è modo di appagare il desiderio d’amore ottenendo stima.
L’altro lato della gratuità dell’amore è l’impossibilità di controllare gli altri sul piano dell’amore. In terapia, questo problema ricorre più e più volte, perché ai clienti non piace mai l’idea di non poter meritare l’amore. Questo però va chiarito in tutti i modi ed ogni chiarimento deve essere un’occasione per un lavoro orientato al recupero di vissuti dolorosi, ma (oggi) tollerabili.
Questo discorso ha delle applicazioni molto importanti in ambito terapeutico, perché ad esempio consente di osservare ed evitare errori. Infatti lo psicologo o lo psicoterapeuta può comprendere il cliente, sostenerlo ma ha il dovere di fargli osservare l’irragionevolezza e la falsità delle seguenti situazioni:
il cliente pretende di essere amato
il cliente non ama se stesso (si deprime) a causa di qualche errore commesso
il cliente si accusa di non amare abbastanza e crede di “dover amare” di più (con la convinzione implicita che dopo risulterà a sua volta amabile)
il cliente si offende per essere desiderato e non davvero amato.
In queste situazioni se il terapeuta “comprende” e quindi evita di lavorare, perde un’occasione importante. Lo psicologo non deve confondere amore e stima e dovrebbe:
portare il cliente a verificare che può tollerare il fatto di non essere (o non essere stato) amato come vorrebbe (o avrebbe voluto);
portare il cliente a superare la paura di non essere amato ed a smettere di sprecare la vita per fare quelle stupidaggini che (dal suo punto di vista) producono amore;
aiutare il cliente a desiderare di essere amato senza pretendere l’amore
rendere possibile al cliente, grazie ad un miglior rapporto con sé e con gli altri, anche l’esperienza di amare maggiormente se stesso, la propria esistenza e le altre persone.
L’amore quindi, non è qualcosa “su cui lavorare”, ma è in qualche misura sempre presente nella vita delle persone e può “crescere” col lavoro psicologico, ovvero con il superamento della paura di non essere amati e della pretesa di essere amati.