Secondo la teoria dell’attaccamento di Bowlby (1969) gli esseri umani hanno una tendenza innata a ricercare legami di attaccamento, e questi legami contribuiscono alla sopravvivenza della specie e alla soddisfazione individuale.
L’attaccamento dà origine a vincoli reciproci, personali e sociali colle figure significative e porta a esperienze di maggior calore, di accudimento, di protezione parallelamente a una diminuzione nel livello di attività psicomotorie quali l’attenzione, la vigilanza e l’aumento del tono muscolare.
Intense emozioni (amore, odio, invidia, rivalità, desiderio di essere accuditi) sono associate alla formazione, al mantenimento, alla disgregazione e al rinnovamento di questi legami.
Gli esseri umani sono molto più sensibili al deterioramento delle relazioni interpersonali se non si erano formati, a tempo debito, legami di attaccamento.
Gli individui sono vulnerabili alla depressione quando i vincoli di attaccamento sono stati spezzati e ciò predispone a disturbi depressivi.
Bowlby sostiene che i vincoli di attaccamento assolvono a una funzione di sopravvivenza.
L’attaccamento del piccolo alla madre assicura prossimità alla madre e contribuisce alla sopravvivenza biologica della prole, in particolare per fornire protezione dai predatori.
La presenza continua di una sicura figura di attaccamento aiuta il bambino a esplorare il suo ambiente fisico, a entrare in contatto con i coetanei e a partecipare al gruppo.
Il modo in cui si stabiliscono i vincoli affettivi è determinato e appreso in grande misura all’interno della famiglia durante l’infanzia.
La minaccia di perdita di un’importante figura di attaccamento crea ansia e tristezza e minacce frequenti di tale perdita possono predisporre a successivi disturbi depressivi.
Uno dei meriti dell’approccio di Bowlby è quello di aver fornito una cornice teorica a molti studi empirici.
La letteratura ha evidenziato che alcune esperienze della prima infanzia sono predisponenti allo sviluppo della psicopatologia in età adulta.
In particolare la perdita di un genitore durante l’infanzia è stata connessa allo sviluppo della depressione in età adulta.
Il legame coi genitori può essere spezzato dalla morte, dalla separazione, dal divorzio.
Anche la separazione emotiva di un genitore dal bambino – per mancanza di cure, distanza emotiva, iperprotezione o violenza – può deteriorare il legame fra genitore e bambino.
La rottura di un rapporto o un rapporto privo d’ amore fra un bambino e il suo genitore possono aumentare la vulnerabilità alla depressione nel bambino diventato adulto.
Per comprendere l’impatto della funzione parentale sul successivo sviluppo della depressione in età adulta è importante tener conto dei dati provenienti da:
I bambini che vivono in famiglie con uno o entrambi i genitori depressi hanno maggiori probabilità di manifestare una psicopatologia rispetto ai bambini con genitori normali.
Di seguito vi riporto alcune interessanti e utili ricerche per comprendere più a fondo l’importanza e l’impatto della relazione di attaccamento su uno sviluppo sano delle relazioni oppure più predisposto a disturbi depressivi, ma anche ansiosi.
Rolf e Garmezy (1974) riscontrarono un comportamento più ritirato, timido e socialmente isolato nei bambini di madri depresse.
Weintraub, Neale e Liebert (1975) osservarono livelli più alti di irrequietezza a scuola, impazienza, comportamento irrispettoso e ribelle, disattenzione e ritiro, e livelli inferiori di comprensione, creatività e capacità di entrare in relazione con l’insegnante nei bambini di madri depresse.
Qui entrano in gioco gli oramai diffusi disturbi da deficit di attenzione e iperattività dei bambini, che ancora negli anni ’70 erano poco rilevanti.
Welner (1977) scoprì umore depresso, desideri di morte, litigiosità, angosce psicosomatiche e anedonia più diffusi in bambini con un genitore depresso.
Osservò anche che l’11 % dei figli di depressi presenta una media di almeno cinque sintomi depressivi, e il 7 % rientra nei criteri di una depressione definita o probabile, contro lo 0 % del gruppo di controllo.
Weissman, Paykel e Klerman (1972) indagarono sullo svolgimento del ruolo materno in un gruppo di 35 donne depresse e in un gruppo di confronto composto da 27 donne, osservando che, durante l’episodio di depressione acuta, le donne depresse si impegnavano meno coi loro bambini, avevano difficoltà di comunicazione, facilità a perdere la pazienza, mancanza di affetto, accresciuto senso di colpa e risentimento.
Le madri depresse erano molto più protettive, irritabili, preoccupate, chiuse, emotivamente distanti e/o rifiutanti.
Il 59 % dei figli di queste madri depresse presentava disturbi.
Manifestavano iperattività, enuresi, depressione, problemi scolastici, uso di droga e tendenze autolesioniste.
I disturbi depressivi si presentano in ragazzi preadolescenti e adolescenti, e che possono essere diagnosticati sulla base di criteri sintomatici.
La presenza di un genitore depresso e/o una precisa storia familiare di disturbi affettivi contribuiscono in modo determinante alla depressione in età infantile.
Un ambiente disgregante, ostile, negativo si associa alla depressione nel genitore, nel bambino e nel bambino che diventerà depresso da adulto.
Henderson ha esaminato l’importanza del supporto sociale nella prevenzione della psicopatologia.
Ha analizzato il concetto di “comportamento che induce cura” (Care-eliciting behavior), essenziale nel legame di attaccamento.
Tale comportamento viene descritto come un modello di attività da parte di un individuo che evoca risposte di conforto (Henderson, 1974). Il conforto include stretti contatti corporei ed espressioni verbali di preoccupazione, stima o affetto.
Il comportamento che induce cura e il comportamento di attaccamento continuano a far parte del repertorio comportamentale umano per tutta la vita.
Durante l’infanzia e l’adolescenza con il modificarsi e l’ampliarsi di tale repertorio, si sviluppano nuovi rapporti, che sono di solito abbastanza forti con una o due persone e meno intensi con parecchie altre.
Gli adulti, come i neonati e i bambini, si affliggono se separati dai propri cari, e cercano la vicinanza di poche persone che sanno o prevedono possano consolarle.
Un tale comportamento probabilmente assicura alla specie notevoli vantaggi riproduttivi ed evolutivi, e inoltre garantisce la possibilità di mantenere forti legami sociali fra i membri del gruppo, dato che è un meccanismo dell’attrazione e del vincolo fra maschio e femmina.
Henderson distingue il comportamento che induce cura normale e quello patologico. Quest’ultimo si presenta quando il comportamento di cura da parte degli altri è insufficiente, e comprende sindromi psichiatriche come la depressione clinica.
La maggior parte degli individui ha bisogno di un livello anche minimo di interazione sociale, e al di sotto di questo livello il rischio di disturbi psichiatrici aumenta.
Le relazioni personali strette, e cioè i vincoli sociali, forniscono intimità, integrazione sociale attraverso la condivisione di opinioni, opportunità di ricevere cure, rassicurazioni sul proprio valore, un senso di alleanza sicura e guida.
Rileva inoltre che aspetti negativi nei legami sociali nell’ ambiente adulto si associano a sintomi nevrotici.
I pazienti con disturbi nevrotici, e soprattutto i depressi, passavano la stessa quantità di tempo dei soggetti di controllo col proprio gruppo primario, ma in proporzione avevano più interazioni affettivamente sgradevoli.
I depressi nevrotici avevano meno buoni amici e meno contatti al di fuori della famiglia, meno figure di attaccamento, e sentivano che queste figure non fornivano loro un adeguato supporto.
Henderson confermò l’associazione clinica tra contatti sociali deboli e nevrosi, in particolare depressione.
I legami sociali sembrano così importanti non per la loro disponibilità ma per quanto sono percepiti come adeguati nelle situazioni di stress.
I sintomi nevrotici emergono quando una persona si considera priva delle cure, dell’attenzione e dell’interesse altrui, e che i sintomi stessi possono essere a ragione considerati come un comportamento che induce cura, con una possibile funzione adattiva.
Si è ipotizzato che l’intimità sia un aspetto importante delle relazioni interpersonali che inducono cura e danno supporto.
La presenza di un rapporto intimo e fiducioso col partner costituisce una forte protezione contro lo sviluppo della depressione di fronte agli stress della vita.
La rottura reale o minacciata dell’attaccamento coniugale, che comporta liti, separazione o divorzio, è una delle più comuni e più gravi scissioni dell’attaccamento in età adulta ed è spesso connessa all’ occorrere della depressione.
La vita matrimoniale di donne depresse era caratterizzata da disimpegno, scarsa comunicazione, contrasti e problemi sessuali.
Queste difficoltà si risolvevano lentamente e persistevano per molto tempo dopo che le pazienti si erano liberate dai sintomi della depressione.
Dunque è prezioso iniziare a prendersi cura di sé in caso di depressione attraverso una costruzione di una sana relazione di attaccamento con una figura di supporto come lo psicologo.
Un attaccamento più sano e amorevole nella relazione terapeutica induce una maggiore fiducia, maggiore forza, apertura alla vita, e una maggiore capacità di coltivare relazioni significative e di affrontare eventuali conflitti con maggiore autoefficacia e minore angoscia di perdita dell’altro, nel rispetto reciproco.
Se percepisci un disturbo depressivo non esitare a chiedermi un supporto psicologico per iniziare a prenderti cura di te stesso!
Che si tratti di un lutto, di una separazione, di una perdita reale o percepita puoi contattarmi.
Con il Metodo Balance potremo iniziare davvero a sentire sollievo, a radicare la nostra sicurezza al nostro corpo, al nostro respiro.
Grazie alla relazione più autentica con la psicologa e alla scoperta di un nuovo approccio psicoemotivo alla vita e al piacere di esserci e di stare più in armonia con noi stessi e con gli altri.
Alessandra Chiarini è una psicologa a Bologna che è motivata ad accompagnarti verso il benessere e verso la scoperta e l’apprendimento di strumenti di crescita personale.