La diffusione dell’uso di droghe e di conseguenza la comparsa di nuove malattie correlate all’uso cronico di farmaci nasce nello stesso momento in cui la Farmacologia si afferma come una delle discipline portanti del progresso biologico-medico, basti pensare alla rivoluzione che si è avuta in psichiatria con l’abolizione della contenzione fisica resa possibile dall’uso di psicofarmaci.
Le tossicodipendenze vengono infatti da Pier Francesco Mannaioni (definite come entità nosologiche, alcune delle quali addirittura inesistenti nella cultura medica italiana degli anni cinquanta). Non esistevano in tali anni le tossicodipendenze da LSD o da vari derivati della Cannabis Indica, e per quanto riguarda le tossicomanie da tempo note, l’etilismo ha subito e sta subendo una variazione di ripartizione epidemiologica, interessando sempre più il sesso femminile ed estendendosi a strati sociali diversi da quelli tradizionali. Ma secondo Mannaioni, è la tossicodipendenza da oppioidi che si è maggiormente trasformata. Negli anni cinquanta il tossicomane da oppioidi era una figura isolata, di estrazione culturale medio-elevata che aveva sviluppato la tossicodipendenza prevalentemente nella media età. Oggi la tossicodipendenza da oppioidi è diventata una malattia epidemica che ha assunto un profilo interclassista ed investe soprattutto l’adolescenza e la prima giovinezza. La crescente disponibilità di farmaci sia nell’ambito domestico sia nelle strade, in un terreno culturale orientato a demandare ai farmaci la soluzione dei problemi comportamentali ed esistenziali ha giocato, secondo Mannaioni, un ruolo importante nella diffusione dell’epidemia. Per cui è difficile dire se sia l’aumentata presenza dei farmaci l’elemento determinante o non piuttosto la predisposizione individuale al loro cattivo uso.
Da un punto di vista prettamente clinico e farmacologico, la somministrazione prolungata di una sostanza stupefacente produce sia effetti acuti che cronici. Tolleranza, dipendenza e sindrome astinenziale sono i tipici effetti cronici derivanti da situazioni di dipendenza da sostanze.
La tolleranza farmacologica assume un ruolo incisivo nel determinare il protrarsi della assunzione della sostanza, in quanto rappresenta una forma di adattamento dell’organismo alla stessa che per ottenere la medesima soddisfazione ha bisogno di dosi sempre maggiori.
La dipendenza farmacologica può essere psichica e fisica.
Van Dyjk ha sottolineato che la dipendenza non è una entità a sé stante, bensì lo stadio finale di un processo le cui fasi precedenti sono rappresentate da contatto, sperimentazione ed impiego eccessivo (abuso). Bisogna distinguere i fattori che stimolano l’avvio di un tale processo, da quelli che lo mantengono in vita una volta realizzatosi il contatto con la sostanza. Tra i primi fattori vanno inclusi gli effetti farmacologici delle sostanze assunte, la personalità dell’assuntore e l’influenza dell’ambiente sul soggetto, tra i secondi il ricordo di tali effetti, l’indebolimento dell’io e delle prestazioni cerebrali.
La dipendenza psichica determina il cosiddetto ‘craving‘ cioè l’irresistibile voglia del farmaco. Si ritiene che essa sia dovuta al ricordo degli effetti piacevoli dovuti alla assunzione del farmaco e quindi dal grado di ‘ricompensa’ che l’individuo riceve da tale assunzione, e non al bisogno di far cessare quelli spiacevoli dovuti alla sua mancanza. I fattori che determinano questo tipo di dipendenza sono complessi e con una altissima variabilità soggettiva. I fattori ambientali ed il contesto sociale possono avere un ruolo importantissimo sia in senso negativo che in senso positivo . Caratteristica comune delle tossicodipendenze è il fatto che le sostanze che le inducono possiedono notevoli proprietà motivazionali nel senso che l’esperienza dei loro effetti soggettivi diventa per il tossicodipendente un fine primario dell’esistenza come il cibo, l’acqua o il sesso.
La dipendenza fisica si manifesta quando nel soggetto, l’uso protratto di una droga, provoca quella che è stata definita ‘sindrome di astinenza’ che di norma si caratterizza per la presenza di sintomi opposti rispetto a quelli che si producono nel momento di assunzione della droga. Si può distinguere una sindrome d’astinenza immediata o acuta, che per l’eroina inizia dopo sei-otto ore dall’ultima somministrazione, e una sindrome d’astinenza protratta o tardiva che può persistere per settimane, determinando una particolare vulnerabilità del tossicodipendente verso la droga, l’unica in grado di alleviare o sopprimere la sintomatologia. Esiste anche una forma di dipendenza crociata fra droghe di struttura simile, nel senso che ad esempio un farmaco oppiaceo può sopprimere le manifestazioni di astinenza indotte da un’altra sostanza morfino-simile pur mantenendo lo stato di dipendenza.
Parlare di tossicodipendenza significa fare riferimento all’interazione di tre elementi: individuo, sostanza ed ambiente sociale in cui si realizza l’incontro tra soggetto e droga. Ciò significa che qualsiasi valutazione deve essere fatta tenendo conto di più aspetti ossia quello farmacologico, psicologico e sociologico.