Freud (1922) evidenziò, nei pazienti depressi, la presenza di un Super-Io severo che si sarebbe sviluppato in virtù di un senso di colpa legato ad atteggiamenti aggressivi verso le persone amate. L’atteggiamento di autosvalutazione tipico di questi pazienti sarebbe il risultato di una profonda rabbia rivolta verso l’interno a causa dell’identificazione del proprio Sé con l’oggetto d’amore emozionalmente perduto. E’ proprio questo che per Sigmund Freud (1915) distinguerebbe il lutto dalla melanconia. Nel lutto “l’oggetto d’amore” è realmente perduto, mentre nel paziente melanconico l’oggetto significativo perduto non è reale ma emozionale. L’autore giunge così a formulare una teoria dell’organizzazione depressiva che viene mantenuta quasi integralmente dagli autori successivi, che mettono in evidenza, a seconda dei casi, aspetti diversi del modello: per esempio viene sottolineata l’importanza della perdita dell’autostima (Pasche F., 1971).
Privilegiando una prospettiva evolutiva, Melanie Klein (1940) introdusse il concetto di posizione depressiva come processo derivante dalla consapevolezza da parte del bambino dell’esistenza di oggetti (persone come la madre) interi prima considerati scissi nei loro aspetti “buoni” e “cattivi”. Ne deriva un senso di colpa legato agli attacchi verso quegli oggetti prima “cattivi” e valutati separati da quelli amorevoli ed ora visti nella loro integrità ovvero il bambino si renderebbe conto che gli attacchi finalizzati alla distruzione degli oggetti cattivi (aspetti cattivi della madre) avrebbe potuto irrimediabilmente danneggiare gli oggetti buoni (aspetti buoni e amorevoli della madre) in quanto non separati da quelli “persecutori”. I pazienti depressi, per la Klein, non avrebbero superato la posizione depressiva infantile e vivrebbero nella costante inconscia preoccupazione di aver distrutto, dentro se stessi, gli oggetti buoni e si sentirebbero minacciati e perseguitati dagli oggetti cattivi.
Sempre secondo una concezione di tipo psicogenetico, M. Mahler mostra che durante il processo di individuazione-separazione, da lei individuato, si stabilisca una reattività depressiva individuale. Si ha allora una perdita nella fantasia, cioè un conflitto intrapsichico che è la causa genetica del verificarsi della depressione come effetto. Per quanto riguarda la prima sottofase di differenziazione la Mahler sottolinea che l’ intensità della reattività libidica viene accresciuta mediante il ” dialogo ” con la madre. L’ euforia è un umore fondamentale nel corso della seconda sottofase di individuazione. Nella fase del riavvicinamento la mancanza di accettazione e di comprensione emotiva da parte della madre sembra diminuire l’ autostima del bambino e conduce ad ambivalenza e soprattutto a coercizione aggressiva ripetitiva dei genitori. Questi atteggiamenti danno luogo a un rivolgersi dell’ aggressività contro di Sé e a “un sentimento di impotenza che crea l’effetto fondamentale depressivo”. Ciò dimosta che la cosidetta depressione fondamentale è un derivato di un conflitto aggressivo, causato dalla mancata accettazione e comprensione da parte della madre , che riduce l’ autostima del bambino. Lo stato di euforia si manifesterebbe prima del momento in cui sono osservabili le risposte depressive.
Un autore che, discostandosi da Freud e dalla Klein, non ha assegnato un ruolo centrale all’aggressività nella comprensione della depressione è Bibring (1953). La Jacobson tratta del saggio di Bibring “The Mechanism of Depression “(1953).In una breve rassegna della letteratura sottolinea in particolare i caratteri psicosomatici del rallentamento depressivo che definiscono la qualità e non il contenuto della depressione. I veri ciclotimici sperimentano il rallentamento in maniera diversa dai nevrotici depressi. Sembrano essere consapevoli della qualità somatica del fenomeno che sperimentano come una malattia fisica estranea alla loro natura,come qualcosa cui la parte sana della loro personalità può guardare con un certo distacco e anche,entro certi limiti, controllare.Spesso questi pazienti,inconsapevoli del proprio stato affettivo depresso,si lamentano solo dell’affaticamento e dell’esaurimento fisico e mentale. Bibring descrive due differenti modalità di accostarsi al problema.Vi sono autori che distinguono due tipi di depressione: il primo tipo (chiamato semplice, endogeno) è rappresentato da un lato dalla semplice reazione di dolore (FREUD) ,dall’altro dalla depressione principalmente dovuta a un esaurimento dell’ “energia dell’ Io “.Il secondo (grave o malinconico) è caratterizzato da offesa narcisistica,meccanismi orali di recupero,quali le identificazioni mediante l’incorporazione e il concomitante trasferimento dell’aggressività dall’oggetto al Sé.Sulla base della seconda modalità,una perdita di autostima è comune a tutti i tipi di depressione. Bibring (1953) utilizza il termine “semplice” per riferirsi a qualunque tipo di depressione in cui il conflitto di colpa non domini il quadro clinico. Il nucleo del pensiero di Bibring è la tesi che ” la depressione è uno stato affettivo primario non legato all’aggressività rivolta verso l’interno della persona. “(p. 21). Da alcuni esempi clinici egli conclude: primo, che la depressione è una espressione emotiva di uno stato di impotenza e di impoverimento dell’ Io; secondo, che essa trae origine dalla tensione fra aspirazioni narcisistiche fortemente investite e la consapevolezza dell’ Io della propria impotenza e incapacità di vivere adeguatamente rispetto a questi modelli. La predisposizione alla depressione è attribuita non tanto alla ” fissazione orale ” quanto a esperienze traumatizzanti del neonato o del bambino, di sentimenti di impotenza e alla fissazione a tali sentimenti (p. 37). Si tratta di una reazione fondamentale a situazioni di frustrazione narcisistica proprio come l’ angoscia rappresenta una reazione fondamentale dell’ Io a situazioni di pericolo. Le istanze orali e aggressive per Bibring non sono così universali nella depressione. I conflitti depressivi negli stati nevrotici di depressione sono di natura diversa da quelli presenti nella depressione psicotica. I pazienti nevrotici non tendono a regredire a uno stadio di sviluppo tanto primitivo.
Una critica è stata rivolta all’autore dalla Jacobson poiché, pur riconoscendo che la depressione nasce in relazione a una frustrazione ed esprime un conflitto fra gli scopi e le aspettative narcisistiche e l’incapacità dell’ Io di realizzarli o gratificarli, Bibring dimentica che si reagisce normalmente alla frustrazione con tentativi irati e aggressivi di adeguarsi ai propri modelli e aspettative narcisistiche, e in caso di fallimento si sperimenta una perdita di autostima che implica uno svuotamento ostile dell’ immagine di Sé. Tra i limiti di questo contributo vi è il trascurare il ruolo delle relazioni oggettuali aggressive, delle pulsioni in generale e dei conflitti ostili sottostanti anche nelle prime depressioni infantili . Il merito principale del saggio di Bibring consiste nel fatto che l’ autore mette a fuoco l’ Io e chiarisce che negli stati depressivi i conflitti narcisistici sottostanti possono essere conflitti fra il Super-io e Io, ma anche conflitti all’ interno del sistema dell’ Io.
Un altro autore considerato dalla Jacobson, cioè Rubinfine, tralascia come Bibring la distinzione fra gli stati nevrotici di depressione e quelli che appartengono al gruppo di disturbi sia maniaco-depressivi che schizofrenici. La sua trattazione delle fissazioni narcisistiche in pazienti affetti da malattia depressiva e le conclusione che ne trae si riferiscono ai tipi di depressione psicotica maniaco-depressiva o schizofrenica. Egli sottolinea le fissazioni narcisistiche di tali pazienti in termini di un arresto a uno stato di unità narcisistica con la madre. Ciò in realtà è vero solo per i simbiotici schizofrenici. Rubinfine inoltre sostiene che” la persona depressa soffre di fallimento a raggiungere la costanza di oggetto” (p. 416).
La Jacobson (1977), dopo aver discusso il lavoro di altri autori, riformula chiaramente e specificamente le sue opinioni concernenti la depressione. Considera la distinzione fra stati depressivi nevrotici, borderline, psicotici, un prerequisito essenziale per un’indagine sia psicoanalitica che neurofisiologica sulla depressione.Applicando la psicologia dell’ Io alla depressione, si riferisce ai sentimenti di stabilità, di depressione e di euforia non in termini di stati fondamentali dell’Io ma come a stati caratteristici di un equilibrio narcisistico normale o disturbato. Concorda colla Mahler (1968) sul fatto che la risposta di euforia e di depressione sono già riscontrabili nella prima infanzia, come il risultato di esperienze di gratificazione o frustrazione narcisistica. Secondo Edith Jacobson (1977) nella maggior parte dei pazienti depressi il problema della colpa non è sempre il tratto clinico dominante. Emerge spesso un conflitto di colpa grave ma non tipicamente malinconico né delirante. Il quadro emozionale è costituito oltre che da umore abbattuto, inibizioni nei processi di pensiero, rallentamento psicomotorio, angosce, sentimenti di indifferenza e di distacco, di debolezza interiore e di apatia, da impotenza (frigidità) sessuale e da sensazioni di profonda inferiorità, di inadeguatezza e di generale inutilità. Questi sentimenti per la Jacobson corrispondono all’ impoverimento dell’Io dei soggetti,alla loro incapacità di porsi in rapporto con gli altri, alla loro diffusa perdita per qualunque cosa. Modificando la formulazione di Freud, l’autrice (1971) propone che i pazienti depressi si caratterizzano per comportarsi come se fossero essi stessi l’oggetto perduto, privato del suo valore. Il Sé diviene allora l’oggetto cattivo e si può trasformare a volte in un Super-Io sadico di cui l’Io, impotente, diventa vittima.
Una modalità di affrontare il problema della depressione sulla base della psicologia dell’Io non sarebbe tuttavia psicoanalitica se trascurasse la teoria delle pulsioni. I casi clinici pongono in luce il coinvolgimento delle pulsioni. Anche nei tipi infantili di depressione vi è chiara testimonianza di un “conflitto” fondamentale sottostante, come la Mahler ha ampiamente dimostrato. Questo conflitto basilare sembra essere dello stesso ordine in tutti gli stati depressivi: la frustrazione genera rabbia e conduce a tentativi ostili di ottenere la gratificazione auspicata. Quando l’Io è incapace di realizzare questo scopo, l’ aggressività viene rivolta sull’ immagine del Sé. La conseguente perdita di autostima esprime il conflitto narcisistico, cioè un conflitto fra l’ immagine desiderata del Sé e l’ immagine depauperata e fallimentare dello stesso Sé. La natura della condizione di umore che si sviluppa allora dipende dall’ intensità dell’ ostilità e della gravità e durata della frustrazione e delusione. Una corretta teoria psicoanalitica della depressione presuppone una modalità genetica multifattoriale. Deve prendere in esame la natura e l’ intensità delle pulsioni coinvolte nel conflitto , della costituzione istintuale, della qualità delle pulsioni in termini di deneutralizzazione e di defusione, delle particolari fissazioni e regressioni pulsionali, della natura delle condizioni di investimento , dei processi pulsionali di scarica e delle trasformazioni nelle cariche investite sulle rappresentazioni oggettuali e del Sé, poiché tutti questi fattori esercitano un’ influenza sul livello di funzionamento dell’ Io. Una teoria psicoanalitica della depressione deve trattare anche del problema della disposizione individuale dell’ Io., degli arresti o delle regressioni del Super-io, e della loro influenza sul funzionamento dell’ Io. Riconferma infine la convinzione che le differenze fra stati di depressione nevrotici e psicotici si basano su processi costituzionali di carattere neurofisiologico. Ciò integra le considerazioni di carattere psicologico.
La Jacobson si addentra ad analizzare le differenze fra gli stati di depressione schizofrenica e malinconica. Sia i depressi malinconici che quelli schizofrenici possono manifestare idee di essere soggetti a persecuzioni e alle corrispondenti allucinazioni. Come Kraepelin (1913) ha già posto in evidenza , i depressi paranoidi ciclotimici, a differenza dagli schizofrenici paranoidi, hanno la sensazione di dover essere perseguitati. Ritengono di meritare la persecuzione a causa dei loro “peccati”.Questa circostanza rivela la mancanza di sentimenti consci di colpa. I depressi schizofrenici mostrano apertamente comportamenti e idee di grandezza anche durante i periodi di depressione. Nei depressi paranoidi ciclotimici non ha trovato una storia infantile piena di terrori e di sintomi tanto precoci e tanto gravemente coatti come in molti schizofrenici che presentano combinazioni tanto bizzarre o rapide alternanze fra gli atteggiamenti e il comportamento impulsivi e coatti, fra promiscuità sessuale e puritanesimo, fra dignità, altruismo e aperte e aggressive forme di egoismo e avidità. Sia il depresso malinconico che lo schizofrenico depresso possono soffrire di conflitti intersistemici, conflitti tra Io e Super-io, come di conflitti infrasistemici, conflitti all’ interno dell’ Io ( Hartmann, 1950 ) . Ma nei malinconici questi conflitti riflettono la discrepanza fra i loro modelli etici, morali, culturali e intellettuali palesemente troppo elevati e l’ immagine distorta in senso patologico, inutile o addirittura ” peccaminosa ” che hanno del proprio Sé. Nel depresso schizofrenico la ritrasformazione regressiva dell’ ideale dell’ Io in immagini glorificate, realizzanti un Sé potente, spietato e sadico, consente alle fantasie e alle finalità aggressive di entrare nella sfera dell’ Io e di accedere alla coscienza. Il conflitto del depresso schizofrenico è in parte espressione della discrepanza esistente fra tali ambizioni sadico-pregenitali e l’ immagine del Sé debole, impotente , masochista. Gli schizofrenici tendono a scaricare le loro pulsioni istintuali , soprattutto gli impulsi distruttivi , simultaneamente o in rapida alternanza sul Sé e sugli oggetti esterni. Possono alternare con facilità impulsi e azioni suicide e omicide. Nei soggetti schizofrenici depressi possiamo trovare una carenza di costanza e dell’ oggetto e una tendenza a fondere le immagini oggettuali e del Sé, tendenze che sfociano in una completa mescolanza di tipi primitivi di identificazioni proiettive e introiettive o in una rapida oscillazione fra di esse. Le tendenze antitetiche sadiche e masochistiche del paziente possono venir separate , attribuite proiettivamente a diverse immagini oggettuali e poi, in virtù di processi introiettivi, fissate nelle opposte immagini che il paziente ha del proprio Sé.
Arieti (1977) invece ha postulato che vi possa essere nelle persone che diventano gravemente depresse una ideologia preesistente ovvero, vivere non per se stessi ma per un’ altra persona che Arieti definì ” l’ altro dominante ” . Quando questo ruolo viene ricoperto da un obiettivo o una finalità superiore viene utilizzato il termine ideologia dominante. L’autore, similmente a Bibring, riconosce un ruolo importante all’incapacità dei pazienti di riconoscere l’irrangiungibilità dello scopo e di adottare dei quadri di riferimento alternativi. In sostanza, tali pazienti seguono un progetto di vita irrealistico cui non riescono a rinunciare.
Blatt (1998) ha individuato da un punto di vista psicoanalitico due tipologie sottostanti di depressione : quella analitica caratterizzata da sentimenti di impotenza, solitudine, fragilità correlati a croniche paure di abbandono e di mancanza di protezione ; e la depressione introiettiva con sentimenti di inutilità, fallimento , inferiorità e colpa .
Secondo Gabbard (2002), riassumendo le posizioni esaminate si giunge alla conclusione che i pazienti esperiscono la depressione sul piano psicologico come un disturbo dell’ autostima nel contesto di relazioni interpersonali fallimentari . Nei termini della Psicologia del Sé la depressione potrebbe essere inquadrata come una disperazione associata al fallimento nella gratificazione dei bisogni di rispecchiamento, idealizzazione e gemellarità, da parte degli oggetti-Sé.
Sempre, secondo Gabbard adottare un approccio psicodinamico, non significa non riconoscere che i disturbi affettivi ( 2002 ) sono malattie fortemente influenzate da fattori genetici e biologici.
L’approccio organicista tende a cercare cause biologiche della depressione, e giunge anche ad importanti traguardi di ricerca scientifica che cercano di far luce sui meccanismi chimici del funzionamento cerebrale. Gli studi biologici sulla depressione hanno messo in luce meccanismi neurotrasmettitoriali che attivano o inibiscono manifestazioni depressive, la ricerca genetica ha cercato di individuare fattori determinanti l’ereditarietà di tale patologia, giungendo anche a risultati importanti.
In particolare, il fattore predittivo più influente è la presenza di eventi stressanti recenti. Due altri fattori, le relazioni interpersonali e un temperamento caratterizzato da aspetti nevrotici, giocano un ruolo significativo da un punto di vista eziologico. Gli eventi stressanti più potenti sembrano essere la morte di una persona cara, violenze, gravi problemi coniugali e divorzi o separazioni. Precoci esperienze di abuso , di abbandono o separazione possono creare una sensibilità neurobiologica che predispone gli individui a rispondere a fattori stressanti in età adulta collo sviluppo di un episodio depressivo maggiore.
La letteratura evidenzia che una combinazione di farmacoterapia e psicoterapia è efficace nel trattamento dei disturbi affettivi (Gabbard 2002). Sia i farmaci che la psicoterapia possono essere necessari.
Un approccio psicodinamico al trattamento è utile, inoltre, nell’ affrontare il rapporto tra personalità e depressione . Questo rapporto può essere suddiviso in tre distinte categorie :
1) disturbo depressivo maggiore sull’ asse I complicato dalla coesistenza sull’ asse II di disturbi di personalità . I disturbi di personalità complicano il trattamento dei disturbi depressivi sull’ asse I. Si ha una maggiore probabilità di una sintomatologia residua depressiva rispetto ai pazienti senza disturbi di personalità.
2) personalità depressiva. La personalità depressiva è dominata da infelicità, abbattimento, tristezza; un concetto di sé centrato sulla svalutazione e la bassa autostima ; una tendenza all’ autocolpevolizzazione e all’ autocritica ; una facilità nel provare sentimenti di colpa o di rimorso ; un atteggiamento pessimistico ; un modo negativistico e giudicante di porsi verso gli altri ; infine una tendenza a rimuginare e a preoccuparsi .
3) depressione caratteriologica nel contesto di disturbi di personalità sull’ asse II . Della terza categoria fanno parte i pazienti con gravi disturbi di personalità, in particolare borderline, che soffrono di ” depressione “. Molti di loro descrivono sentimenti di solitudine o vuoto pervasivi , accompagnati dalla percezione che i loro bisogni emozionali non trovano riscontro negli altri . Vi può essere un sentimento consapevole di rabbia e di frustrazione che li distingue dai tipici pazienti dell’ asse I. Anche Gabbard cita, come la Jacobson, Bibring dicendo che egli considerava la depressione come emergente dalla tensione tra ideali e realtà . Tre aspirazioni narcisistiche altamente investite- di valere ed essere amato , di essere forte e superiore , di essere bravo e amorevole – sono considerati parametri di condotta. La consapevolezza dell’ Io rispetto alla propria effettiva o supposta incapacità di essere all’ altezza di questi parametri produce depressione . La persona si sente debole e impotente. La consapevolezza dell’ impotenza poteva, secondo Bibring , portare a una situazione di aggressività rivolta verso l’ interno, ma solamente come fenomeno secondario. Si ha un crollo parziale o totale dell’ autostima dell’Io , in quanto esso non si sente all’ altezza delle proprie aspirazioni ( ideale dell’ Io, Super-io ) . Considerò l’ euforia maniacale come una reazione secondaria di compensazione rispetto alla depressione, o come un’ espressione del soddisfacimento in fantasia delle aspirazioni narcisistiche individuali.
Il dottor Cerracchio, psicoterapeuta, sostiene che la depressione ha come sintomi principali l’abbattimento dell’umore, la visione negativa e derealizzata del futuro, autodenigrazione, disturbi del sonno come insonnia o ipersonnia, alterazioni dell’appetito, ansia che delle volte nasconde i sintomi principali del tono dell’umore, e diverse manifestazioni psicosomatiche.
Clinicamente si distingue la depressione reattiva, che è un naturale stadio melanconico causato da circostanze inerenti la vita dell’uomo come lutti, abbandoni affettivi, crisi evolutive, che comunque ha una durata limitata e serve alla riorganizzazione psicologica, dalla depressione vera e propria che apparentemente non ha alcun legame reale con le vicende della vita del depresso e per tale ragione viene chiamata anche endogena.
In realtà esiste sempre una causa che determina lo stato depressivo, spesso tale problema è semplicemente negato e si è trascinato per anni senza trovare un’adeguata risoluzione nell’economia psichica.
Esistono forme depressive che impediscono qualsiasi attività causando stati di completo abbandono fisico ed intellettuale che spesso allarmano notevolmente chi vive accanto a chi ne è vittima.
In tali casi il ricorso a farmaci antidepressivi può risultare necessario ma purtroppo non sono rari gli interventi con elettroshock, una metodologia barbara che consiste nel mandare scariche elettriche attraverso il cervello causando crisi convulsive, che, come sostengono i fautori di tale metodo, dovrebbe, e non si sa come, riportare il paziente fuori dalla malattia. Spesso succede che effettivamente si arriva ad una modifica positiva dello stato depressivo ma il rientro verso la realtà è sempre episodico e parziale e quello che è peggio è che il messaggio che ne riceve il paziente da tale intervento è carico di violenza, quella stessa violenza introiettata che è causa delle sue difficoltà psicologiche.
Purtroppo la conoscenza sul funzionamento del cervello e le sue implicazioni nella vita emotiva dell’uomo sono ancora ad uno stadio preliminare, e questo contrasta vivamente gli entusiasmi degli organicisti.
Ogni sensazione umana ha ovviamente un corrispettivo biologico e chimico, affermare che ad un’emozione corrisponde un dato processo biochimico del cervello non è negare la validità del modello psicologico, è solo la giusta contrapposizione teorica di punti d’osservazione differenti, che per il bene dello sviluppo del trattamento delle patologie psichiatriche dovrebbero essere in continua e rispettosa comunicazione.
Quello che è assolutamente inaccettabile è la proposta univoca che si tende a dare del trattamento dei disturbi mentali e della depressione solamente a livello psicofarmacologico.
Negare l’importanza degli aspetti psicologici e dei trattamenti psicoterapici impedisce lo sviluppo della conoscenza di tali processi, nuocendo alla comprensione sempre maggiore del comportamento umano.
Occorre considerare che il sintomo in ogni manifestazione di sofferenza è uno strumento importante per dialogare con il proprio organismo ed imparare a riconoscerne le esigenze avvenute. Negarlo, come avviene ogni qualvolta lo si blocca con l’utilizzo di farmaci, può impedire la comprensione evolutiva di fasi critiche dell’esistenza.
Secondo la teoria psicodinamica la depressione deriva da un profondo senso di perdita dell’oggetto amato vissuto dal soggetto come introiezione dell’aggressività, ciò che causa un desiderio inconscio d’annientamento del proprio io vissuto come disprezzabile e incapace di essere al mondo.
La costruzione di un oggetto buono, cioè della rappresentazione dell’altro-da-se, avviene durante la fase depressiva descritta dalla Klein nella quale il bambino crea il suo genitore buono che gli consentirà una normale forza del proprio io.
Nella depressione il paziente non riesce a ricostruire la parte oggettuale sentita come distrutta e investe il proprio io con pulsioni autoaggressive che ne compromettono le funzionalità d’adattamento alla realtà.
Nel lutto, che possiamo definire come depressione “buona” o momentanea, la perdita dell’oggetto amato porta ad uno stato melanconico che viene superato quando l’oggetto si reintegra grazie alla presenza interna di genitori buoni, e l’investimento pulsionale può essere fatto di nuovo.
Nella depressione Freud indicava un’introiezione, cioè una presa dentro di se di un oggetto negativo verso il quale si provano sensazioni ambivalenti di amore-odio.
Nella depressione l’ambivalenza, cioè la condizione di fluttuazione tra amore e distruzione, è una delle caratteristiche della personalità melanconica, che si evidenzia chiaramente nella forma bipolare maniaco-depressiva, nella quale stati di abbattimento si alternano a fasi di esaltazione maniacale.
La depressione è forse il momento più vicino alla sofferenza, sofferenza intesa come dolore totale che avvolge l’essere completamente negando ogni spiraglio di luce.
La sofferenza è ciò che ogni essere vivente biologicamente cerca di evitare, è la sofferenza che spinge il comportamento in direzioni più utili e consone allo sviluppo della vita. La depressione è una scarica improvvisa e tumultuosa di sofferenza, angoscia, quasi come se tali emozioni fossero imprigionate ed impedite di effettuare il loro naturale mandato.
Compito di un’adeguata psicoterapia è quello di dare voce al dolore, attraverso un nuovo linguaggio che non nega la sofferenza ma le restituisce il valore di significante e ne riduce la forza distruttiva.